lunedì 19 settembre 2016

22/11/1963 - recensione......

 
Non avevo mai letto niente di SK prima di questo 22/11/63. Anzi, ora che ci penso, avevo letto solo “La zona morta” tanti, tanti, tanti anni fa, al liceo, per la precisione. Ricordo che mi colpì e mi emozionò, ma all’epoca ero una ragazzina fanatica di libri che si entusiasmava per ogni nuova lettura (per inciso, ora sono una signora di mezz’età, fanatica di libri, che spesso si entusiasma per alcune, nuove letture….). A parte quindi questo vecchissimo incontro con il maestro del thriller, risalente ai tempi della mia adolescenza, il romanzo appena letto è praticamente il primo di SK.
Dico subito che mi è piaciuto. Per diversi motivi che poi vi dirò, ma per il momento dico solo che mi è piaciuto, e che l’ho letto in poco più di una settimana, nonostante si tratti di un volume di oltre 700 pagine.

 
La storia ha per protagonista Jake Hepping, un professore di inglese di Lisbon Falls, USA, da poco divorziato, che frequenta nell’ora di pranzo la tavola calda di Al Templeton. Un locale che, dietro l’apparenza di un posto normale dove consumare un pranzo veloce, nasconde un segreto. Un segreto di quelli grossi, a dire il vero, perché all’interno della dispensa, una stanza buia profumata di spezie e di caffè, si trova quella che Al definisce “la buca del coniglio” ma che altro non è che un varco temporale. Un varco attraversato il quale ci si ritrova nel piazzale appena dietro il locale stesso, ma non più nel 2011, anno in cui si svolge la storia, ma nel 1958, e più precisamente il 9 settembre del 1958.

Al è malato e consapevole che il tempo che gli rimane non gli sarà sufficiente per compiere ciò che aveva in animo di fare. Chiede quindi a Jake di farlo al posto suo, e si tratta di un’impresa non da poco: si tratta infatti di fermare Lee Harvey Oswald, impedirgli di uccidere il presidente Kennedy a Dallas, il 23 Novembre del 1963.

Il viaggio nel tempo ha solo alcune, immodificabili regole: c’è sempre la possibilità di un ritorno al futuro, ma ad ogni rientro nell’oggi il passato torna ad essere quello di prima, cancellando gli eventi modificati ogni volta; e qualunque sia il tempo trascorso nel passato, siano giorni oppure anni, al ritorno nel futuro saranno sempre passati solo due minuti.

Jake accetta di fare ciò che Al gli chiede, accetta di ritornare indietro nel tempo con il preciso scopo di salvare il Presidente, e si ritrova così a vivere in un mondo senza cellulari, senza internet, in cui le persone fumano ovunque senza che vi sia alcun divieto, in cui si ignora cosa sia il “politicamente corretto” e si chiamano “negri” le persone di colore, in cui un hamburger, un’auto, l’affitto di un appartamento, un pieno di benzina costano infinitamente meno che al tempo attuale.

Inizia in questo modo la nuova vita di Jake, e la sua avventura nel 1958. Un’ avventura che si dipana per ben 700 pagine, in modo coerente, assurdamente logico nonostante la storia sia un perfetto impasto di ordinario e di soprannaturale, complessivamente avvincente nonostante qualche flessione del ritmo e un centinaio di pagine di troppo.



Mi è piaciuta la figura di Jake e la sua disponibilità ad imbarcarsi in un’impresa chiaramente al di fuori dei confini della normalità, convinto di poter cambiare la storia impedendo un evento drammatico e sconvolgente come l’assassinio di Dallas. Mi è piaciuta l’attenta ricostruzione di un’epoca, che King realizza, a mio modo di vedere, in modo accurato e convincente, senza apparenti (almeno per me) sbavature. Mi è piaciuto il modo in cui viene dipinto l’assassino del Presidente, LHO, un personaggio controverso, dogmatico, irrisolto, dipinto per quello che forse davvero era, ossia una figura minore, un uomo banale e senza storia che la Storia però è riuscito a cambiare per sempre. Mi sono piaciuti in particolare, alcuni spunti di riflessione che King butta lì, non approfondisce, ma mette sotto gli occhi del lettore in modo che non possa non accorgersene.
Temi universali, direi, sui quali chiunque prima o poi in qualche modo si interroga.
E cioè: sarebbe sempre utile e giusto cambiare il passato, eliminarne gli errori e le atrocità, le cose sbagliate e gli eventi più nefasti, certi che ciò migliorerà sempre il corso degli eventi successivi?
Può davvero un uomo solo cambiare la storia? È possibile davvero che la storia, quel faticoso e ritmato susseguirsi di eventi non più modificabili, sia il frutto dell’opera, del lavoro, della sconsideratezza o del buon senso di un singolo, di una persona isolata, animata da buoni propositi (come Jake) o da un piano criminale (come LHO)?


 
E poi. Esiste una logica, c’è un piano, un disegno di fondo che segna il percorso degli eventi, oppure tutto accade per caso, e la storia altro non è se non una sequenza di fatti derivanti in logica successione da un evento accaduto in modo del tutto casuale? Ognuno ha la sua risposta. Io credo di averla trovata in quello che King scrive nella postfazione a proposito dell’altro, grande tema, questa volta meno universale e più storico, ancora irrisolto rispetto alla vicenda di Kennedy, ossia se l’assassinio del Presidente sia stato il gesto criminale di un folle isolato o il frutto di una cospirazione. King dice di non credere alla tesi del complotto, si dice cioè convinto che Kennedy, amato quanto odiato, la cui morte non dispiacque affatto a molti nell’America del tempo, sia stato ucciso da un omicida che agì da solo e che non era la “mano armata” di un gruppo di cospiratori variamente assortito (la mafia, la CIA; i produttori di armi, gli esuli cubani anti Castro etc.) E si rammarica che LHO sia stato a sua volta ucciso, perché la sua morte ha impedito di approfondire il suo vero ruolo nella vicenda, di ricevere da lui una confessione o al contrario il proclama della sua innocenza. E nel rammaricarsi di ciò, King ricostruisce l’uccisione di Oswald e la sua fatalità. Jack Ruby, l’uomo che sparò ad Oswald, non doveva essere lì, alla stazione di polizia di Dallas in cui si trovava Oswald in attesa del suo trasferimento altrove, ma ci capitò perché di ritorno da un ufficio postale in cui aveva eseguito un versamento fino al giorno prima non previsto; e Oswald doveva già essere uscito dai locali della stazione di polizia nel momento in cui vi arrivò anche Ruby, ma chiese che gli concedessero di tornare indietro per un attimo, per indossare una maglia sopra la sua camicia che aveva un buco.


 
Un vaglia postale ed un pullover messo all’ultimo minuto sono stati due dettagli, all’apparenza insignificanti, che hanno reso però possibile il verificarsi di un secondo omicidio, quello dell’assassino del Presidente, che ha tolto all’America, al mondo e alla storia la possibilità, forse, di dare una risposta definitiva all’interrogativo di sempre rispetto all’omicidio di JFK.

Ma se così è, se la storia è fatta, alla fine, di incastri immodificabili di eventi del tutto casuali, che ne è dell’idea consolante per cui c’è un disegno dietro ai fatti che accadono agli umani?

Come ho già detto, ognuno di noi ha la propria risposta. Personale, singola, individuale. Come il nostro destino. O la nostra, casuale vita di appartenenti al genere umano….

Insomma, nel complesso un bel libro. Da leggere. Se vi va. 



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